dott. Monica Bonsangue
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Psicologia, trauma, violenza, maltrattamento, abusi psicologici



IL TRAUMA DA AGGRESSIONE. Prevenzione, evento, intervento post traumatico.

8/29/2016

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Introduzione
L’aggressione a scopo rapina, molestia o stupro è, purtroppo, fra gli eventi traumatici che più frequentemente incontriamo fra le statistiche.
L’aggressione condivide con la catastrofe naturale (ad esempio un terremoto) la componente traumatica: un evento che irrompe nella vita di una persona, sconvolgendola completamente. Da quel momento, nulla è più come prima. Il futuro diventa pauroso, incerto, tenebroso, e tutto il passato sembra avere inchiodato il presente ad un solo punto: quello del trauma.
Gli effetti dell’aggressione possono, infatti, stabilizzarsi in un Disturbo da Stress Post Traumatico, caratterizzato da continui flashback[1] e numerosi altri sintomi[2].
Ma l’aggressione si differenzia dal trauma della calamità naturale per un pesante strascico che accompagna la persona che l’ha ricevuta: la sensazione del senso di colpa e l’impressione di non avere più nulla sotto controllo.
Chi subisce un’aggressione, in altre parole, spesso non si da pace per quello che avrebbe potuto fare (o non fare) per evitare l’accaduto.
Se nella calamità naturale siamo più predisposti a vedere la tragicità abbinata all’impotenza di fronte ad una forza più grande di noi (chi può fermare un terremoto o uno tzunami?), quando il trauma è perpetrato da un altro essere umano non siamo così magnanimi nel perdonare noi stessi.
Nella mente le autoaccuse (è colpa mia, non avrei dovuto passare di li)  si alternano ai dubbi (avrò fatto abbastanza per proteggermi?) ed il rimuginare continuamente su questi pensieri impedisce alla persona di recuperare il senso di sicurezza ed autoefficacia, indispensabili per poter continuare a rapportarsi col mondo.
Questo aspetto dell’autoaccusa e auto colpevolizzazione è un vissuto tipico delle vittime di molestie o stupro. La vergogna derivante da questi vissuti sembra assalire la vittima, che piega il capo, sconfitta, di fronte a chi le chiede cosa è accaduto, mentre l’aggressore mantiene saldamente la testa alta.
 
 
PREVENZIONE
La vittimologia insegna che alcune persone sono più predisposte di altre per ricoprire in un determinato spazio e tempo il ruolo di vittime e che le caratteristiche delle potenziali vittime variano da una situazione all’altra.
Ad esempio, se consideriamo il crimine “aggressione per rapina” o “aggressione per stupro”: l’ essere donna abbinato a camminare da sola in una zona a medio tasso di criminalità abbinato a è l’una di notte, alza teoricamente la probabilità di essere aggredite.
Ma le combinazioni possono anche essere altre, ad esempio: essere donna abbinato a sono da sola abbinato a è notte fonda abbinato a accetto un passaggio da uno sconosciuto.
Se invece consideriamo il crimine “pedofilia”, i criteri vittimologici cambiano, così come cambiano se consideriamo il crimine “truffa”, nel quale sono gli anziani ad essere i più colpiti.
Insomma, ad ogni crimine, la sua vittima.
La prevenzione diventa un passaggio fondamentale che parte dalla consapevolezza del rischio che corro[3].
Vi porto un esempio a cui ho assistito pochi giorni fa: mi trovavo nel parcheggio sotterraneo di un supermercato. Era piuttosto pieno e ho dovuto parcheggiare lontano, praticamente in uno degli angoli del parcheggio, dove le luci illuminano poco. Mentre rientro con la spesa mi accorgo che sul lato opposto una giovane donna (sola) si trovava in questa situazione:
  • Baule aperto, con spesa mezza dentro e mezza fuori, sul carrello.
  • Portiera anteriore aperta, con borsa appoggiata sul sedile.
  • Neonato già imbragato nel suo seggiolino, con portiera aperta.
  • Stessa mia zona, lontana da passaggio di altre persone e poco illuminata.
  • Mendicante mezzo ubriaco (o sotto sostanze?) che, insistentemente, chiede l’elemosina.
 
Potete immaginare in che stato di ansia fosse la donna.
La valutazione per la sua “strategia” di prevenzione è chiaramente insufficiente.
Eppure bastano piccoli gesti e attenzioni per levarci di torno i malintenzionati che ronzano come le mosche[4] (ad esempio, il camminare con la borsa verso il muro abbassa di un poco la probabilità che ce la strappino; se sono ad una festa e la bibita che mi offrono ha un sapore strano, non la bevo).
Il mendicante aveva visto anche me, ma aveva scelto di “stressare” lei perché era nelle migliori condizioni per essere “vittima”.
 
 
L’EVENTO TRAUMATICO
Nonostante le precauzioni, alcuni eventi traumatici appartengono all’area dell’imprevedibile. Anche se sei stata sufficientemente brava per prevenire alcune situazioni, ve ne sono altre che possono raggiungerti.
E spesso capita perché c’è la volontà lucida di qualcuno di volerti fare del male.
Nel mio studio, per esempio, molte vittime di abuso sessuale sono state tradite nella loro fiducia da un amico, da un ex fidanzato (che così si è voluto vendicare) o da un parente. Da chi, insomma, non ti aspetteresti mai.
Qui la prevenzione non segue la statistica, ad eccezione del marito o fidanzato già violento in precedenza che chiede un ultimo incontro per “lasciarsi in pace” o per “dare un ultimo chiarimento”: qui non smetteremo mai di dire di NON ACCETTARE, poiché la maggior parte delle aggressioni, stupri e femminicidi si svolgono proprio attraverso questa dinamica, che si palesa come una vera e propria trappola.
Nel corso di un evento traumatico, l’emozione prevalente è la paura.
Di fronte a questa emozione il cervello mette in atto comportamenti automatici, sostanzialmente appartenenti a tre livelli del Sistema Nervoso:
  1. Il primo sistema può essere definito di coinvolgimento sociale e prevede il lanciare l’allarme e la richiesta di aiuto.
  2. Quando il primo livello fallisce, il cervello utilizza una specie di “piano b” attivando il Sistema Nervoso Simpatico, il quale ha già in programma le due risposte automatiche previste in caso di paura: attacco (scelta se la valutazione dell’avversario o della situazione lo permette) oppure fuga (quando l’evento o l’aggressore sono valutati come superiori).
  3. Quando anche questo sistema non funziona (e può non funzionare perché qualcuno ci impedisce di attaccare o fuggire bloccandoci, oppure perché la scarica emotiva è talmente forte da mandare il tilt il secondo livello), ecco che compare il terzo ed ultimo comportamento: il freezing, detto anche congelamento o collasso. Questo sistema riduce rapidamente tutte le funzioni metaboliche provocando una paralisi di tutto il corpo. Psicologicamente avviene una dissociazione, ossia la mente abbandona il corpo, dichiarando la propria sconfitta.
 
E’ quello che avviene nella maggior parte delle aggressioni e degli stupri: qualcuno ci spaventa (magari è presente una minaccia con un’arma), ci blocca e ci impedisce di muoverci, magari ci afferra per le braccia facendoci male (il dolore è un ottimo sistema di controllo sull’Altro), oppure ci tappa la bocca per non urlare e ridurre la respirazione e l’ossigenazione. Queste strategie di aggressione possono fare saltare rapidamente i primi due livelli di emergenza, lasciando in attivazione solo il terzo: il collasso del corpo e la dissociazione traumatica.
La dissociazione traumatica è un potente meccanismo di difesa che ha lo scopo di spegnere la consapevolezza rispetto a quanto sta accadendo per proteggere l’Io.
Questo è il motivo per cui, durante le aggressioni, molte donne non sono in grado di reagire ed è anche il motivo per cui il ricordo traumatico si presenta alla coscienza obnubilato e confuso, frammentato, se non addirittura in amnesia post traumatica totale.
Il cervello protegge la coscienza dalla consapevolezza del trauma tagliando letteralmente la connessione (dissociazione) dal corpo ed il trauma rimane così intrappolato nella memoria del corpo.
Il corpo mantiene registrato su di sé quanto accaduto e si fa portatore della paura, del dolore e di tutte le sensazioni collegate al trauma.
Ecco perché a volte persone che hanno subito un trauma reagiscono con il corpo (attraverso sensazioni fisiologiche) ma senza sapere bene il perché.
 
 
INTERVENTO POST TRAUMATICO
Le terapie che si sono interessate di trauma sono diverse e vanno dalla psicanalisi alle terapie cognitivo comportamentali, dall’ipnosi all’EMDR. Ciascuna ha contribuito ad approfondire la conoscenza di come risolvere esperienze traumatiche e fra tutte queste la terapia che ha dato risultati peggiori è stata la terapia farmacologica[5], mentre le psicoterapie davano risultati migliori. In particolare, nel caso delle aggressioni grandi risultati vengono ottenuti attraverso EMDR e le terapie senso motorie[6]. Mentre per l’EMDR scriverò una articolo più specifico, qui vorrei aggiungere che gli obiettivi delle terapie senso motorie sono sostanzialmente tre:
  • Fare emergere dal corpo le informazioni corporee bloccate e congelate del trauma.
  • Aiutare i pazienti a riprendere il contatto con le energie e le sensazioni interne, vissute dopo il trauma come pericolose e da reprimere.
  • Completare le azioni fisiche dello schema di auto protezione che non si sono potute eseguite a causa del congelamento o dell’immobilizzazione, ossia muoversi e completare l'azione difensiva.
Il recupero dello schema motorio difensivo è fondamentale poichè senza tale recupero il cervello tenderà a ripetere il congelamento in situazioni simili.
 
In quest’ottica e in base alla mia esperienza, invitare le pazienti a seguire una psicoterapia abbinandola ad un percorso di autodifesa presso trainers adeguatamente preparati (Judo e Krav Maga con allenamento in forma mista, ossia  con altri uomini e in riproduzione delle condizioni di aggressione) può essere un forte stimolo in grado di velocizzare la de traumatizzazione ed il recupero del senso di sicurezza e di autoefficacia cancellato dall’evento traumatico.
 
Monica Bonsangue
Psicoterapeuta
Psicotraumatologa
 


[1] Il flashback è l’irruzione nella memoria presente e nella coscienza di immagini, suoni, percezioni collegate all’evento traumatico. In altre parole è la riattivazione improvvisa e fuori controllo della memoria traumatica, accompagnata da tutte le emozioni e sensazioni corporee che sono state provate in quel momento. Per alcuni istanti la persona perde il controllo della consapevolezza ed entra in uno stato alterato di coscienza nel quale rivive il trauma come se accadesse nuovamente in quel momento.

[2] Altri sintomi tipici del Disturbo da Stress Post Traumatico sono: evitamento di persone/situazioni associati all’evento traumatico; ipervigilanza, ansia, disturbi del sonno, incubi, difficoltà di concentrazione, calo delle abilità di apprendimento, obnubilamento (numbing), iperattivazione fisiologica, stati dissociativi.

[3] Si parla di consapevolezza e non di paranoia. Se abito in una tranquilla frazione di alta montagna dove tutti si conoscono e dove tutti tengono la porta di casa aperta anche quando vanno al mercato perché non è mai accaduto nulla, ragiono in modo diverso da una persona che abita nel centro di Milano o Roma. E’ il contesto che mi da la misura; contesto che devo conoscere, se voglio fare prevenzione.

[4] I malintenzionati “mosche” sono differenti dai malintenzionati “predatori”. I primi sono spesso mendicanti, tentano di raccattare soldi e sono, appunto, soprattutto noiosi. Una volta scacciati, tentano con un altro mal capitato. I secondi hanno una natura lucida di caccia, tendono a identificare molto bene la loro vittima e sono determinati a portare a casa qualcosa nel momento dell’aggressione, costi quel che costi. Spesso girano anche armati.

[5] Bessel Van Der Kolk, Il corpo accusa il corpo, Raffaello Cortina Editore

[6] Pat Ogden

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    Autore

    Monica Bonsangue
    Psicologa
    Psicoterapeuta
    Psicotraumatologa
    Formatrice
    Ricercatrice


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