_Quando si analizzano le modalità di maltrattamento all’interno della coppia non può non balzare all’occhio il tema della microlesioni, o microtraumi. Si parla di microlesione ogni qualvolta il danno fisico è circoscritto ad un’area minima del corpo e non provoca pericolo immediato per la persona. Dal punto di vista medico il microtrauma non rappresenta un’emergenza poiché la persona non riporta lesioni gravi tali da mettere a rischio la vita; ma dal punto di vista psicologico il microtrauma rappresenta un sadico sistema di assoggettamento. Si tratta, infatti, di traumi procurati allo scopo di provocare dolore nella vittima (le microlesioni fanno molto male, poiché vengono praticate su zone altamente innervate), con l’obiettivo di farla cedere mentalmente e sottometterla. Il meccanismo è, come sappiamo, quello tipico del maltrattamento domestico, una dinamica patologica all’interno della quale uno dei due partner domina fisicamente e mentalmente sull’altro, sfruttandolo, denigrandolo, usandone violenza. La gestione del potere personale in queste coppie è completamente a vantaggio del partner dominante, che è anche il soggetto maltrattante. Accanto alla violenza fisica più evidente (ma anche denunciabile) ed alla violenza psicologica, il microtrauma è uno stratagemma utilizzato spesso dai maltrattanti per il fatto che provoca molto dolore, non lascia segni particolarmente evidenti, è facile da nascondere ed in caso contrario è giustificabile attribuendolo ad un incidente domestico. Le microlesioni più frequentemente incontrate nella violenza domestica fanno riferimento a falangi della mano o dei piedi spezzati, dita della mano chiuse nella porta, unghie ritorte, lesioni all’orecchio (dovute a percosse o stiramenti del padiglione auricolare, strappo del lobo, lesioni da strappo di orecchini), torsione del naso, lesioni del cuoio capelluto dovute a strappo dei capelli, bruciature di sigaretta, lesioni da oggetti appuntiti (come la punta di un cavatappi pressata sul palmo o sul dorso della mano), graffi da unghie o da oggetti, torsione degli arti (polsi, gomiti, spalle). Il dolore provocato volontariamente è la costante di questi agiti e rappresenta un avvertimento, da parte del maltrattante verso la vittima, su quanto può arrivare a farle male se la vittima non “obbedisce”. Il messaggio è “questo è ancora poco, posso fare di più”. Il dolore provato cementa la paura delle vittime, che non si azzardano a denunciare per paura di ritorsioni ancora più gravi. La vittima difficilmente si recherà al pronto soccorso per lesioni di questa entità. E’ possibile che si rechi dal medico ma, come abbiamo visto, la lesione verrà attribuita ad altro. Ed anche nel caso in cui la vittima trovasse coraggiosamente la forza di denunciare, in tribunale i microtraumi (coma la violenza psicologica) faticano a trovare ascolto. Sentiamo in proposito l’avvocato Enrica Graverini, membro del Network Violenza. Le norme che incriminano la condotta produttiva di una lesione personale sono due: - l’ art. 582 c.p., riguardo alle lesioni personali dolose;
Recita l’art. 590 c.p.[1] “chiunque cagiona ad altri per colpa una lesione personale è punito con la reclusione fino a tre mesi o con la multa fino a trecentonove euro. Se la lesione è grave la pena è della reclusione da uno a sei mesi o della multa da centoventitre euro a seicentodiciannove euro; se è gravissima della reclusione da tre mesi a due anni o della multa da trecentonove euro a milleduecentotrentanove euro……”. Si delineano, pertanto, due tipologie di lesioni: quelle lievi, che comportano una malattia di durata compresa tra i 21 e i 40gg , e quelle lievissime o microtraumi, di cui al comma 2 dell’articolo, se la malattia ha una durata inferiore ai 20gg. Il bene tutelato in entrambi gli articoli del codice penale è l’incolumità e l’integrità fisica e psichica della persona - la cui protezione rappresenta un interesse non solo del singolo ma dell’intera collettività – dall’avverarsi di una malattia, ossia una alterazione anatomica o funzionale dell’organismo o di un suo organo, anche di breve durata (Cass. 25681712), ricomprendendo in tale nozione, anche le contusioni o ecchimosi (Cass, 10986/10) le escoriazioni (Cass. 43763/10), gli ematomi (Cass. 26029(11). La condotta ascrivibile all’autore di reato può essere attiva – intendendosi con qualunque agito o mezzo attivo – od omissiva, financo priva di violenza fisica diretta, ma tale da determinare l’insorgenza della malattia, così come descritta ( ad esempio esponendo la persona a privazioni e/o ad intemperie). Ciò che è discriminante tra le ipotesi normative contemplate dagli articoli citati è l’elemento soggettivo del reato: il dolo, nell’art. 582 c.p., e la colpa , nell’art. 590 c.p., tali che balza agli occhi, anche di un “profano”, la differente, degradata e meno grave pena applicata. Agisce con dolo chi pone in essere una condotta volontaria e consapevole dell’evento e degli effetti; agisce con colpa chi pone in essere una condotta che seppur volontaria, per negligenza, imprudenza ed imperizia non è nella consapevolezza del verificarsi dell’evento e degli effetti. Detto questo, in caso di microtraumi o cosiddetti “incidenti domestici”, chiediamoci quale sarà la linea difensiva in favor rei! In altre parole, nei casi di lesioni lievi che qui ci occupano, che sappiamo essere riconducibili a violenza domestica, la ricostruzione dei fatti che hanno determinato l’evento lesione sarà narrata dall’agente in modo tale da ricondurre l’evento ad una colpa “incolpevole”, un evento che “casualmente” si è predeterminato per “disattenzione”, per mancanza di impegno, per mancanza di abilità o esperienza, per “sventatezza” (negligenza, imprudenza, imperizia). Pertanto, seppur la vittima trovasse in se stessa la forza di sporgere querela, rammentando che è procedibile a querela di parte, la punibilità del gentile consorte/compagno dipende dalla lievità della lesione e dal sottile scrimine dell’elemento soggettivo, tale che il dolo può essere facilmente escluso nei fatti dalla non punibilità della colpa. A tutto quanto suddetto, si aggiunge il fatto che nella maggior parte dei casi la povera vittima, una volta sporta querela, si troverebbe nella circostanza di dover rientrare in casa con il suo denunciato in attesa del lento esito processuale innanzi alla competenza del Giudice di Pace penale. Sebbene la legge preveda l’ordine di protezione – ossia l’allontanamento del familiare violento dal domicilio – difficilmente verrà concesso in casi sporadici o di lievi lesioni per violenza domestica, come quelli di cui ci stiamo occupando. Tutto quanto suddetto, la condizione di sudditanza della vittima - così come indicata egregiamente dalla Dott.ssa Bonsangue, la sporadicità della condotta posta in essere dal maltrattante, la lievità delle lesioni prodotte – in alcuni casi l’esclusività della sola violenza psicologica, l’elemento psicologico del reato – sempre circostanziato ai fatti e alle condotte, rendono i microtraumi difficilmente probanti e perseguibili. Quasi a doversi augurare il peggio per ottenere tutela, peggio che, purtroppo, accade. Articolo scritto da: Monica Bonsangue, psicoterapeuta e psicotraumatologa, esperta di violenza di genere; Enrica Graverini, avvocatessa esperta in famiglia e minori, curatore speciale del minore presso Tribunale dei minorenni di Roma. ________________________________________________________________________________________________________ [1] Per la parte che ci compete–reato depenalizzato a rango di illecito civile/amm.vodal dlgs 7 e 8 del 15.1.16 punibile con la sola sanzione pecuniaria. Ti è stato utile questo articolo? Condividilo!
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AutoreMonica Bonsangue
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